Cronaca di una dissolvenza volontaria

Cronaca di una dissolvenza volontaria


Cronaca di una dissolvenza volontaria è il racconto silenzioso di un movimento inverso: non un crollo, non una fuga, ma un’uscita intenzionale dalla messa in scena.


Non c’è sirena, né applauso. Solo il suono lieve di un passo che si allontana. Solo il fruscio dell’aria spostata da una presenza che si fa assenza. Cronaca di una dissolvenza volontaria inizia così: con l’invisibile che prende parola, con la scelta lenta e ostinata di sottrarsi a ciò che non risuona più. Non è un abbandono rabbioso. Non è un addio clamoroso. È un gesto denso, silenzioso, compiuto da chi non ha più bisogno di dimostrare.

Non è facile raccontare questa storia. Perché non ha colpi di scena, né trionfi. Ha pause. Attese. Rallentamenti. Ha giorni vuoti e notti fitte. Ha sguardi che si ritirano, parole che si spezzano, risposte che non arrivano più. Cronaca di una dissolvenza volontaria non segue la traiettoria della crescita, ma quella dell’allontanamento. Un allontanamento che non è perdita, ma riconquista.

La vita ci insegna a comparire. A dichiararci. A mostrarci in forma. Ma nessuno ci insegna a scomparire. A farlo bene. A farlo senza odio, senza strappi, senza veleni. A farlo perché ci siamo accorti che rimanere, in certi spazi, significa svuotarsi. Cronaca di una dissolvenza volontaria è la narrazione di chi ha scelto il margine per sopravvivere, per ascoltarsi, per ricostruire la propria densità.

Ci sono giorni in cui lo senti. Che qualcosa si è staccato. Che non ti appartiene più il ruolo, la maschera, il ritmo. Non sai ancora cosa accadrà dopo, ma sai che non puoi più restare dove sei. Non sei più lì. Non c’è odio. Non c’è clamore. C’è una verità silenziosa che ti abita. Inizia da lì la tua cronaca di una dissolvenza volontaria.

Cronaca di una dissolvenza volontaria

Nessuno se ne accorge subito. Perché continui a sorridere. Continui a rispondere. Continui a partecipare. Ma dentro hai già lasciato andare. È il distacco invisibile che precede ogni vera liberazione. Non ti opponi. Non ti giustifichi. Non combatti più. Lasci che l’acqua scorra e tu, piano, ti fai riva. Non più onda.

In una società che esige presenza, velocità, reattività, scomparire è un atto sovversivo. Cronaca di una dissolvenza volontaria è anche questo: un sabotaggio gentile. Non urli, ma non ci sei più. Non ti spieghi, ma non torni. Non protesti, ma non partecipi. Non sei contro. Sei altrove.

Quel gesto, all’apparenza fragile, contiene una forza antica. La forza di chi non ha più bisogno di reagire. Di chi ha capito che rispondere a ogni stimolo è farsi colonizzare. Di chi ha scelto il silenzio come territorio, la lentezza come rifugio, la discontinuità come forma di resistenza. Cronaca di una dissolvenza volontaria è una pedagogia dell’assenza: una pratica del non-esserci per ritrovare l’essere.

Non è fuga. È riscrittura. Non è depressione. È decantazione. Non è fine. È inizio. Ogni passo fuori dal centro è un passo verso il proprio asse. Ogni no detto al rumore è un sì detto alla propria voce. Ogni margine abbracciato è una nuova mappa che nasce. Cronaca di una dissolvenza volontaria non racconta un crollo, ma un attraversamento.

Serve coraggio per non reagire. Per non rincorrere. Per non giustificarsi. Per lasciare che le cose cadano senza prenderle al volo. Serve fiducia. Nel vuoto, nella propria lentezza, nei segnali sottili che affiorano quando non sei più in affanno. Cronaca di una dissolvenza volontaria è la testimonianza di un’altra modalità di stare al mondo. Una modalità in cui il valore non è dato dalla visibilità, ma dalla coerenza.

Si dissolvono le risposte automatiche. Si dissolve la compiacenza. Si dissolve la ricerca di approvazione. E quello che resta non è meno. È di più. È più denso, più vero, più intimo. Si comincia a parlare solo quando serve. A dire solo ciò che è necessario. A lasciare che il silenzio tenga insieme ciò che prima era costretto dalla parola. Cronaca di una dissolvenza volontaria è anche questo: un’educazione alla sottrazione.

Cronaca di una dissolvenza volontaria

Sparire non vuol dire morire. Vuol dire smettere di aderire a ciò che ti svuota. Vuol dire restare vivi dove gli altri non guardano. Vuol dire continuare a esistere, ma fuori campo. Dove il gesto ha più valore del post, dove lo sguardo pesa più della prestazione. Cronaca di una dissolvenza volontaria è la storia di chi ha deciso che la propria integrità vale più della propria reputazione.

Non tutti capiranno. Qualcuno penserà che ti sei arreso. Qualcuno ti dirà che sei diventato strano, freddo, distante. Ma tu saprai che c’è una forza nuova dentro di te. Una forza che non ha bisogno di scenari, né di testimoni. Una forza che nasce dalla sottrazione, dalla quiete, dal rifiuto di farsi più vedere pur di restare se stessi.

La dissolvenza non è un gesto improvviso. È un processo. È fatta di giorni, di scelte, di piccoli gesti. È un modo di occupare lo spazio con discrezione. Di lasciare vuoti strategici. Di non spiegare ogni cosa. Cronaca di una dissolvenza volontaria non si scrive in maiuscolo. Si scrive in minuscolo, tra le righe, nella densità di una presenza che ha smesso di chiedere il permesso.

A volte è il corpo il primo a dissolversi. Non ha più voglia di certi luoghi. Si chiude. Si ritira. Si fa muto. Altre volte è la parola. Comincia a suonarti falsa. Inadeguata. E allora stai zitto, non per ostilità, ma per rispetto. Altre volte ancora è lo sguardo che cambia. Non cerca più fuori, ma dentro. E scopre territori mai esplorati. Cronaca di una dissolvenza volontaria è la narrazione di questa mutazione sottile.

Chi scompare volontariamente non rinuncia a vivere. Rinuncia a esibirsi. A intrattenere. A funzionare. Sceglie la qualità invece della quantità. La profondità invece dell’apparenza. Il contatto invece della connessione. E in quel gesto, che sembra rinuncia, c’è una nuova forma di potenza. Una potenza che non si dichiara, ma si sente.


📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #271
🧭 Sparire è anche scegliere chi essere davvero.


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Scrive da un punto imprecisato tra il mondo che c’è e quello che potrebbe esistere.
Non cerca followers, cerca fenditure.
Non insegna nulla, ma disobbedisce per mestiere.
La sua mappa non ha nord: ha crepe, deviazioni, direzioni non autorizzate.
Vive in silenzio, ma scrive forte.
È uno che cammina fuori traccia.
E non per sbaglio.