Riabilitiamo la parola vacazione

Riabilitiamo la parola vacazione


La parola vacazione è rimasta incastrata in un lessico accademico, burocratico, quasi inavvicinabile. Un termine tecnico, dimenticato, che galleggia nel linguaggio come se non avesse più un corpo. Eppure la parola vacazione indica qualcosa di essenziale: un’interruzione. Una sospensione legittima. Uno spazio vuoto che non chiede di essere riempito. Riabilitiamo la parola vacazione per restituirle il suo significato più profondo: non come sinonimo di “vacanza”, ma come tempo sottratto, tempo che si apre, tempo che non pretende. La parola vacazione è ciò che si sottrae alla continuità per dare respiro.

Vacazione è un intervallo necessario

La parola vacazione non porta con sé l’eco del divertimento o del consumo. Non parla di viaggi, né di svago. Parla di assenza. Di silenzio. Di un tempo che si separa dal flusso per potersi osservare. Riabilitiamo la parola vacazione perché oggi abbiamo perso la grammatica dell’intervallo. Abbiamo paura del vuoto, dell’interruzione, del non fare. Ma è proprio lì, in quel tempo senza scopo, che qualcosa comincia a riformularsi.

Vacazione è ciò che accade quando si sospende una funzione, ma non la vita. È la pausa che non serve a preparare qualcosa: è già qualcosa. È il momento in cui il fare si ferma e resta il respiro. È un’assenza attiva, una sosta che genera.

Riabilitiamo la parola vacazione come spazio sacro

La parola vacazione ha un’etimologia che rimanda al verbo latino vacare, che significa essere vuoto, libero, disponibile. Non privo, ma pronto. Non assente, ma aperto. Riabilitiamo la parola vacazione come uno spazio in cui non si produce, ma si accoglie. Dove il tempo non è scandito da compiti, ma da possibilità.

Vacazione è una tregua. È un luogo senza scadenza, senza meta, senza profitto. È ciò che ci permette di tornare a noi senza doverci giustificare. In un mondo che ci misura per ciò che facciamo, la parola vacazione ci ricorda che siamo anche — e soprattutto — nei momenti in cui non facciamo nulla.

Vacazione come pausa che genera

Viviamo in un sistema che detesta l’interruzione. Che spinge verso la continuità, la produttività, la connessione permanente. Ma la parola vacazione ci insegna il valore della sospensione. È un vuoto fertile, non un buco da colmare. È un tempo che serve a respirare, non a riorganizzarsi per lavorare meglio. Riabilitiamo la parola vacazione perché ci permette di stare in quell’inattività piena, in quel silenzio che rigenera senza fretta.

Il pensiero nasce spesso in uno spazio vuoto. La visione si fa strada quando le cose si interrompono. La vacazione è la condizione minima perché il nuovo possa affiorare. Senza questa distanza, tutto resta incastrato nella continuità sterile. La vacazione è quindi anche una soglia: ciò che ci separa dal prima e ci prepara al dopo.

Vacazione è disobbedienza minima

La parola vacazione è anche un atto di resistenza. In un tempo che monetizza ogni secondo, prendersi una vacazione è dire no. No alla velocità obbligata, no alla disponibilità continua, no al fare come unico modo di esistere. Riabilitiamo la parola vacazione perché ci invita a lasciare spazio. A fare meno. A tornare a un tempo che non corre, ma cammina. Che non produce, ma custodisce.

Vacazione è il diritto di essere senza dover giustificare la propria presenza. È il momento in cui si spegne la macchina e si ascolta il rumore interno. È ciò che ci rimette in relazione con un tempo più umano, più profondo, più vero. È un’apertura fragile ma feconda, una frattura che non si deve curare ma abitare.


📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #153
📖 Vacazione non è evasione. È il tempo che ci rimette al mondo quando smettiamo di correre dietro a tutto ciò che ci allontana da noi.



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