Nel lessico contemporaneo, la parola ubertoso sembra un sopravvissuto di un’epoca lontana, una gemma nascosta tra le pieghe dei vecchi dizionari. Eppure, riscoprire la parola ubertoso significa tornare a guardare la realtà con occhi diversi: è una parola che parla di abbondanza, di fertilità, di una natura che offre senza riserve. In ogni stagione, un campo ubertoso non è soltanto ricco di frutti, ma anche simbolo di promessa, di vitalità che trabocca e non si lascia contenere. Restituire dignità a questa parola significa riaprire un orizzonte dove la prosperità non è solo possesso, ma esperienza del dono e della pienezza.
Ubertoso: oltre la ricchezza, la generosità della natura
La parola ubertoso ha radici profonde nella tradizione contadina, nei canti antichi, nelle descrizioni delle stagioni abbondanti. Non riguarda solo l’accumulo, ma una condizione dell’essere: tutto ciò che è ubertoso si distingue per la capacità di dare, di sostenere la vita, di generare nuovo senza impoverirsi. Nei testi letterari e nei proverbi, il terreno ubertoso è quello che restituisce molto più di quanto riceve. Questa parola, dimenticata in tempi di scarsità programmata e di paura della mancanza, ci ricorda che la vera ricchezza è legata alla generosità, alla disponibilità a condividere, al coraggio di fiorire anche dove altri si ritirano.
La parola ubertoso come simbolo di vitalità e prosperità
Usare la parola ubertoso oggi è un atto di resistenza contro la retorica dell’insufficienza e della privazione. In un mondo che teme il troppo e coltiva il poco, ubertoso rappresenta una forma di esuberanza, di pienezza che non chiede scusa. È una qualità che può appartenere a un campo di grano, a una stagione particolarmente favorevole, ma anche a una persona, a una comunità, a un gesto. Si può parlare di uno sguardo ubertoso, di una mente ubertosa, di una relazione che produce frutti inattesi. Riabilitare questa parola significa dare spazio alla vitalità, alla gioia dell’eccesso, alla forza tranquilla di chi non teme di mostrare la propria prosperità.
Ubertoso nella memoria e nella cultura collettiva
C’è una nostalgia sottile nella riscoperta di la parola ubertoso: rimanda ai tempi in cui l’abbondanza era benedizione, augurio, meta collettiva. I racconti di raccolti ubertosi scandivano il tempo delle feste, dei riti di ringraziamento, delle promesse per l’anno nuovo. In molte culture, la fertilità della terra era segno di una buona relazione tra uomini e natura, tra spirito e materia. Oggi, tra siccità e crisi, la parola ubertoso torna a parlarci di equilibrio fragile, di ricchezza che va protetta, di responsabilità verso ciò che fiorisce. Non è solo una descrizione della realtà, ma una chiamata a prendersi cura di ciò che cresce.
Restituire senso alla parola ubertoso oggi
Riabilitare la parola ubertoso oggi è un gesto controcorrente. In una società che diffida della pienezza e preferisce la cautela del minimo, tornare a nominare e desiderare l’ubertosità significa affermare una diversa visione del vivere. Non si tratta di accumulare senza fine, ma di riconoscere il valore della generosità, della fertilità che rigenera, della prosperità condivisa. La parola ubertoso invita a lasciarsi contagiare dall’abbondanza, ad accogliere la possibilità di essere terreno fertile per progetti, sogni, relazioni. È una parola che benedice la vitalità, che incoraggia la speranza, che difende il diritto a una gioia piena e senza riserve.
📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #270
🔤 Restituire la parola ubertoso è riscoprire la generosità della natura, la bellezza della pienezza e il coraggio di vivere nell’abbondanza autentica.