La parola quaderno è una delle prime che impariamo a pronunciare, ma anche tra le prime che lasciamo indietro. Appartiene all’infanzia, alla scuola, alle righe e ai quadretti da riempire, all’odore della carta nuova e alle prime fatiche della scrittura. Eppure la parola quaderno contiene qualcosa che resiste: uno spazio bianco, disponibile, che accoglie senza giudicare. Riabilitiamo la parola quaderno per ricordare che non tutto ciò che scriviamo deve servire a qualcosa. A volte scrivere è semplicemente abitare un tempo diverso, lasciare una traccia, restare.
Il quaderno non è un documento
Nel tempo della prestazione e della visibilità, scrivere è diventato un atto pubblico: mostrare, convincere, produrre. Ma la parola quaderno si muove altrove. Il quaderno è uno spazio laterale, riservato. Non serve a dimostrare, ma a raccogliere. A tentare. A sbagliare. È il luogo dove la cancellatura ha un senso. Dove l’errore non è fallimento, ma passaggio.
Riabilitiamo la parola quaderno perché oggi manca uno spazio che permetta di essere provvisori. Di non sapere. Di cominciare senza la pressione di concludere. Il quaderno è una zona franca dal linguaggio levigato. È il foglio storto che tiene insieme ciò che non trova ancora forma.
E c’è qualcosa di profondamente umano nel poter sbagliare su carta. Nel lasciare che il pensiero si dispieghi senza sorveglianza. Il quaderno è la versione minima e concreta della libertà di pensare.
Riabilitiamo la parola quaderno come corpo che raccoglie
La parola quaderno è fatta anche di materia. Di carta ruvida, di copertine piegate, di graffette, di margini smangiati. È un oggetto che si lascia abitare. Non è solo un contenitore: è una superficie viva che accompagna il gesto. Ogni pagina è un frammento del corpo che l’ha toccata. Ogni piega è un’indicazione di cammino.
Riabilitiamo la parola quaderno per tornare a una scrittura che si sporca le mani. Che non ha paura della correzione, dell’errore, dell’incompiuto. Scrivere su un quaderno è scrivere senza filtro. È permettere al pensiero di comparire così com’è. Anche scomposto. Anche fragile.
E c’è un’intimità unica nel tenere un quaderno. Non è solo ciò che scriviamo: è come lo portiamo. Come lo apriamo. Dove lo nascondiamo. Il quaderno diventa gesto, postura, abitudine. È parte di noi.
Il quaderno è memoria non lineare
La parola quaderno evoca un tempo circolare, non cronologico. Aprire un quaderno è attraversare un archivio affettivo. Rileggere un pensiero che non ricordavamo. Scoprire che una frase scritta anni fa oggi ha un peso diverso. I quaderni ci insegnano che la memoria non è sequenza. È ritorno. È interruzione. È sovrapposizione.
Riabilitiamo la parola quaderno perché ci invita a una relazione più morbida con il linguaggio. Una relazione che non cerca subito effetto, ma lascia sedimentare. Il quaderno non pretende coerenza. Accetta la contraddizione. Sta lì, anche quando ci dimentichiamo di lui. E quando lo ritroviamo, ci ricorda chi eravamo.
Scrivere su un quaderno è un gesto che resiste
La parola quaderno custodisce una forma di resistenza concreta. Nell’epoca del digitale, della velocità, del testo che scompare con un clic, scrivere su un quaderno è un atto lento, deliberato. È una scrittura che si assume il tempo. Che non produce rumore, ma presenza. Che non chiede approvazione, ma lascia traccia.
Riabilitiamo la parola quaderno per riscoprire una scrittura che non deve essere esposta. Che può restare privata, disordinata, interrotta. Che non ha bisogno di essere pubblicata per valere. E che, proprio per questo, può dire qualcosa di più vero. Di più nostro.
Un quaderno non è nostalgia. È possibilità. È tempo che si raccoglie. È uno spazio che resta aperto.
📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #148
📖 Nel tempo delle tastiere e delle notifiche, il quaderno è un gesto che resta. E che continua a parlare anche quando smettiamo di scrivere.