Riabilitiamo la parola fabbricazione

Riabilitiamo la parola fabbricazione


La parola fabbricazione è rimasta incastrata in un linguaggio tecnico, industriale, grigio. La immaginiamo legata a catene di montaggio, a numeri di serie, a prodotti replicati. Ma la parola fabbricazione, se liberata da quel cemento linguistico che l’ha costretta in un solo significato, può tornare a parlare di mani, di materia, di tempo. Può tornare a essere viva.

Il corpo nascosto dei processi

Una volta, la parola fabbricazione indicava un processo complesso, lento, pieno di scarti e correzioni. Ogni cosa richiedeva un tempo di formazione, di prove, di gestazione silenziosa. Fabbricare qualcosa significava accompagnarla alla forma. Oggi, invece, la fabbricazione è diventata sinonimo di automatismo. Abbiamo tagliato il tempo, sterilizzato l’imprevisto, espulso il corpo.

Restituire questa parola significa rimettere dentro il gesto, la fatica, la concentrazione. Ricordare che non si fabbrica solo con le macchine, ma anche con la pelle.

La grammatica del fare

La parola fabbricazione porta con sé una grammatica del fare che si è quasi estinta. Non parliamo più di come si fa, ma solo di cosa si ottiene. Il risultato ha divorato il processo. Ma senza processo non c’è verità, non c’è memoria, non c’è narrazione.

Ogni atto di fabbricazione racconta qualcosa: la scelta dei materiali, la logica delle forme, il senso della durata. Fabbricare è scrivere nel legno, nel ferro, nel pane. È imprimere una firma non visibile. È lasciare una traccia. Anche quando non si firma.

Un sapere che non si insegna

C’è una parte della fabbricazione che non si trasmette con manuali. È l’ascolto della materia. Il legno che resiste, il metallo che si piega, il tessuto che si tende. Non è solo tecnica. È sensibilità. La parola fabbricazione dovrebbe ricordarcelo: è il nome di un sapere incarnato. Di un’intelligenza tattile. Di un dialogo continuo tra chi fa e ciò che viene fatto.

Quando dimentichiamo questo, le cose che produciamo ci tradiscono. Perché non hanno più storia. E senza storia, ogni oggetto è vuoto.

Fabbricarsi, non solo fabbricare

C’è un altro modo per usare la parola fabbricazione: rivolgerla a se stessi. Ogni identità si fabbrica, ogni voce si costruisce. Ma non si tratta di falsificazione. È un lavoro lento di messa in forma. Di smontaggio e rimontaggio. Fabbricarsi significa scegliere i propri materiali interiori, affinare le proprie giunzioni, sapere quando cedere e quando resistere.

Ogni essere umano è un’opera in fabbricazione. E il problema è che ce ne siamo dimenticati. Ci presentiamo come prodotti finiti, lucidi, pronti. Ma non siamo finiti. Siamo ancora in costruzione. E va bene così.

Una parola che può ancora creare

Restituire la parola fabbricazione significa restituire valore a ciò che si fa con tempo, attenzione, senso. Significa opporsi all’immediatezza che brucia, all’efficienza che esaurisce, alla superficialità che consuma. Significa scegliere la complessità del gesto che crea rispetto alla velocità di quello che copia.

Forse oggi fabbricare è uno degli atti più radicali. Perché implica cura, permanenza, imperfezione. E soprattutto implica presenza. Ecco perché vale la pena tenere viva questa parola. Non per nostalgia. Ma per necessità.


📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #176
🔤 Ciò che non viene fabbricato lentamente non ha il coraggio di restare. Solo ciò che richiede cura può diventare parte del nostro corpo invisibile.



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