Riabilitiamo la parola daccapo

Riabilitiamo la parola daccapo


Ogni tanto si sente un rumore sottile, come un clic interiore. È il momento in cui si torna daccapo. Non perché tutto è andato distrutto, ma perché qualcosa non era ancora del tutto vero. La parola daccapo non è una resa. È una frattura consapevole. È il coraggio di dire: ricomincio da dove avevo paura.

Il peso di un ritorno

La parola daccapo ha un peso che pochi vogliono sostenere. È il contrario della spinta in avanti a tutti i costi. È un gesto che si oppone all’inerzia del tempo lineare, alla narrazione dominante del progresso senza dubbi. Tornare daccapo vuol dire riconoscere che c’è una parte che non ha funzionato. Vuol dire guardare con sincerità ciò che si è finto di aver chiuso, capito, sistemato.

Chi sceglie la parola daccapo sa che il tempo non è solo un accumulo, ma può essere anche un cerchio. Sa che non tutto va salvato, ma qualcosa va rivissuto con occhi nuovi. Sa che ripetere non significa copiare, ma attraversare con più profondità.

Un punto che respira

Non è facile sostenere il vuoto che si apre quando si torna daccapo. Sembra di perdere il filo, di deludere aspettative, di smentire quanto faticosamente costruito. Eppure è proprio lì che nasce lo spazio per una verità diversa. Il punto daccapo è una pausa che respira. È un’interruzione gravida di possibilità. È l’istante in cui si può finalmente smettere di fingere.

La parola daccapo non ha vergogna. Non teme di rimettere tutto in discussione. È una parola che sfida l’ego, che interroga la fretta, che chiede silenzio. In un mondo che misura la forza nella velocità, essa chiede lentezza. Chiede sostanza. Chiede onestà.

La forza dei gesti lenti

C’è una forza silenziosa nelle persone che dicono daccapo. Non quella di chi si impone, ma di chi si interroga. Di chi ha il coraggio di smontare per comprendere. Di chi non teme di perdere tempo, perché ha compreso che certe cose non si guadagnano: si guariscono. La parola daccapo è una parola guaritrice. Guarisce le narrazioni false. Guarisce le partenze sbagliate. Guarisce i silenzi troppo lunghi.

Ricominciare daccapo è diverso dall’iniziare. È un atto che contiene memoria. È un inizio che ha già conosciuto il dolore, il fallimento, la paura. È per questo che ha valore. È per questo che sa andare più a fondo.

Il gesto che salva

A volte si arriva daccapo senza accorgersene. Una domanda che ritorna, una lettera non spedita, un sogno ricorrente. Altre volte è una scelta precisa. Si chiude il libro, si fa silenzio, si torna a quella prima pagina che non si era capito come leggere. Si respira. Si accetta che il percorso non era lineare, che qualcosa era stato saltato. E si decide di tornare.

La parola daccapo non è per chi vuole tutto subito. È per chi ha imparato a dare tempo al senso. È per chi sa che certe comprensioni hanno bisogno di più di una vita. È per chi sente che il tempo va abitato, non solo attraversato.

Se ci fosse una parola da scolpire sulla soglia di ogni trasformazione vera, quella parola potrebbe essere proprio daccapo. Perché custodisce un’invocazione: che ogni errore possa diventare comprensione. Che ogni caduta possa indicare una direzione. Che ogni passo falso possa essere il primo di una danza più profonda.


📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #213
🔤 Tornare daccapo non è perdere terreno: è rientrare nel proprio respiro, quando si era dimenticato come si fa a camminare davvero.



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