Riabilitiamo la parola dabbenaggine

Riabilitiamo la parola dabbenaggine


La parola dabbenaggine oggi non viene quasi mai pronunciata senza una punta di ironia, quando non di disprezzo. È diventata il marchio dell’ingenuo, del credulone, del bonario che non capisce “come vanno davvero le cose”. Ma la parola dabbenaggine un tempo aveva una luce diversa: non era un difetto da evitare, ma una forma di limpidezza, una trasparenza che oggi fa paura. Perché vivere senza doppio fondo è il vero scandalo.

Da virtù a bersaglio

Un tempo derivata da dabbene – che indicava l’onesto, il retto, il corretto – la parola dabbenaggine non era un insulto. Era la qualità di chi agiva senza malizia, di chi manteneva una coerenza morale anche quando non conveniva. Era il tratto di chi non fingeva. Poi, qualcosa è cambiato: il sospetto è diventato sistema, la furbizia un merito, l’astuzia un dovere. E chi non si è adattato è stato deriso.

Il linguaggio ha seguito questo cambiamento. La dabbenaggine è diventata goffaggine. La sincerità è stata riletta come stupidità. Ma non è la parola a essersi corrotta: è il nostro sguardo che si è spostato.

Una fragilità che resiste

C’è nella parola dabbenaggine un nucleo tenero e scandaloso. Parla di chi si fida ancora, di chi non gioca sporco, di chi non conosce il doppio senso, o forse lo conosce ma sceglie di non usarlo. È la qualità di chi rifiuta il cinismo come unica forma di intelligenza. In un mondo dove si premia chi mente meglio, la dabbenaggine diventa una forma di resistenza non dichiarata.

Restituire questa parola significa ridarle il suo peso: non quello della goffaggine, ma quello della delicatezza che non ha più difese.

Il sorriso senza maschera

Spesso chi è accusato di dabbenaggine sorride. Ma è un sorriso che non nasconde niente. Non è il sorriso dell’ironia tagliente, né quello della superiorità. È un sorriso che non cerca di vincere. Un sorriso che resta. E forse, proprio per questo, fa paura.

La parola dabbenaggine ci costringe a guardarci allo specchio. A chiederci quanta parte di noi ha dovuto fingere, quanto abbiamo sacrificato per non essere considerati ingenui. Quante volte abbiamo nascosto la nostra verità solo per non sentirci deboli.

Il rischio di essere puliti

C’è un rischio nel recuperare la parola dabbenaggine. Il rischio di essere fraintesi, di essere scambiati per semplici, quando invece si è solo fedeli. Ma è un rischio necessario. Vivere con coerenza oggi è un atto sovversivo. E chi vive così spesso tace. Perché non vuole giustificarsi. Perché sa che la propria pulizia non ha bisogno di essere esibita.

Riabilitare questa parola non vuol dire idealizzare la vulnerabilità. Vuol dire accettare che c’è una forza nell’onestà. Che il bene non è sempre smaliziato, e che la lucidità può abitare anche i gesti limpidi, non solo quelli strategici.

La parola che dice chi siamo

Ogni parola che abbandoniamo ci allontana un po’ dalla nostra radice. E la parola dabbenaggine, se la lasciamo tornare, ci ricorda che essere buoni non è sinonimo di essere sciocchi. Che si può essere profondi senza essere torbidi. Che si può guardare il mondo con occhi chiari, senza diventare ingenui.

Non è una parola da salvare. È una parola che può salvarci. Se decidiamo di non averne più vergogna.


📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #174
🔤 Può darsi che la furbizia vinca. Ma è la dabbenaggine che resta, quando tutto il resto è finito.



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