La parola abbacinare è stata dimenticata perché infastidisce. Troppo specifica, troppo visiva, troppo distante dal linguaggio immediato. Eppure oggi, proprio oggi, abbiamo bisogno di riabilitarla. Di lasciarla agire. Di permetterle di attraversare la pelle e colpire l’iride interiore. Perché la parola abbacinare non descrive solo un effetto ottico: racconta una condizione collettiva. Racconta noi.
Accecati dalla luce giusta
Viviamo immersi in una luce che promette chiarezza, ma non rivela. Ci acceca. È la luce dei riflettori, dei feed, degli schermi. È la luce dell’evidenza costante, dell’esposizione permanente. Ma quando tutto è illuminato, nulla è davvero visibile. Quando ogni superficie brilla, la profondità evapora. In questa deriva del vedere troppo, la parola abbacinare è più necessaria che mai. Perché ci parla dell’effetto di ciò che brilla troppo. Del momento in cui la visibilità diventa veleno.
Abbacinare non è un errore. È un progetto. È una strategia che il mondo contemporaneo mette in atto per tenerti fermo mentre credi di osservare. Ti dice: guarda. Ma in realtà ti impedisce di vedere. E quando lo capisci, è già tardi. La pupilla si è chiusa, la mente si è distratta. La parola abbacinare ti aiuta a nominare quel momento preciso. Quella ferita.
Un verbo per nominare l’inganno
Ci sono parole che denunciano senza urlare. Che svelano solo se stai in silenzio. La parola abbacinare è una di queste. Non ha bisogno di spiegazioni didascaliche, né di essere attualizzata a forza. È già attuale. È lo stato in cui ci troviamo quando ci illudiamo di vedere troppo in fretta. Quando scambiamo il bagliore per la verità. Quando confondiamo la luce con la conoscenza.
Il linguaggio pubblicitario abbina costantemente luce e felicità. Il linguaggio istituzionale abbina luce e trasparenza. Il linguaggio tecnologico abbina luce e controllo. Ma nessuno ci dice che la luce può ferire. Nessuno ci insegna che una troppa luce può generare confusione, paura, paralisi. È qui che serve la parola abbacinare. Per riappropriarci della possibilità di nominare l’eccesso senza sembrare ingrati. Per dire: “vedo troppo e non capisco più nulla”.
Riabilitiamo la parola abbacinare come gesto di protezione
Proteggere lo sguardo è proteggere il pensiero. E la parola abbacinare ci offre uno scudo concettuale per difenderci dalla sovraesposizione. Non è un invito al buio. È un invito all’ombra. Alla pausa. Alla soglia tra ciò che si mostra e ciò che si rivela.
Riabilitare questo verbo significa rifiutare l’idea che tutto debba essere comprensibile al primo colpo. Significa rifiutare la pornografia della trasparenza. Significa accettare che alcune cose – le più importanti – non si mostrano alla luce violenta, ma si lasciano intravedere solo nel chiaroscuro. La parola abbacinare ci permette di abitare questa complessità. Di non dover più fingere che la chiarezza sia sempre un bene.
Luce cattiva, occhi stanchi
Siamo stanchi, ma non perché vediamo poco. Siamo stanchi perché non smettiamo mai di vedere. Scrolliamo, leggiamo, scorriamo, assorbiamo. Ma quanto di tutto ciò è reale? Quanto è profondo? Quanto resta?
Il nostro sguardo è stato addestrato a reagire, non a contemplare. La mente risponde a stimoli, non elabora visioni. Ecco perché la parola abbacinare va restituita: perché ci ricorda il diritto alla chiusura degli occhi. Alla selezione. Al silenzio.
Non si tratta di spegnere tutto, ma di accendere solo ciò che serve. E farlo con misura.
Riabilitiamo la parola abbacinare per renderci consapevoli di quanto spesso l’inganno sia luminoso. Di quanto spesso la verità si nasconda in ciò che non brilla. Di quanto abbiamo bisogno di tornare a vedere con lentezza.
📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #132
📖 Restituire lo sguardo a chi è stato ferito dalla luce.