Riabilitiamo la parola abbacchiare

Riabilitiamo la parola abbacchiare


La parola abbacchiare è stata lasciata ai bordi della lingua, come una cosa vecchia, dialettale, magari divertente, ma non degna di attenzione. Eppure la parola abbacchiare è una di quelle parole che hanno ancora le mani sporche di terra. Parla di raccolta, di caduta, di colpi necessari. Parla anche di noi, di quello che ci succede quando un gesto, una frase, una notizia ci colpisce e ci fa cedere. Non ci distrugge, ma ci fa scendere. Ci fa abbassare lo sguardo, il tono, l’energia. Ci lascia un po’ piegati, un po’ spenti, come un ramo che ha appena lasciato andare i frutti. È una parola viva, anche se dimenticata. E riportarla alla luce è un atto di rispetto per tutto ciò che ci toglie slancio senza toglierci dignità.

L’origine agricola del gesto

La parola abbacchiare nasce da un gesto semplice: battere i rami per far cadere i frutti. Non c’è violenza gratuita, solo necessità. Un gesto ritmico, praticato da mani che sanno quando colpire. Si usano bastoni, si stende un telo, si aspetta che il suono del colpo diventi il rumore della caduta. Abbacchiare è raccogliere senza arrampicarsi, è fidarsi che ciò che è pronto a lasciare il ramo cadrà. È una fiducia antica, in equilibrio tra decisione e pazienza. Questo gesto, così fisico, si è fatto verbo mentale. Quando diciamo che siamo abbacchiati, non siamo rotti: siamo stati scossi. E qualcosa in noi è caduto.

Cadere non è crollare

Il significato che oggi diamo a la parola abbacchiare è spesso legato alla stanchezza, alla delusione, alla tristezza leggera. Ma non è un crollo definitivo. È una flessione. Un piegarsi. Un lasciarsi andare per un momento. Come un campo dopo la raccolta. Non è sterile, è semplicemente vuoto per un po’. Questa sfumatura è preziosa: ci permette di dire che qualcosa ci ha colpito senza doverci sentire fragili. Possiamo essere abbacchiati senza essere fragili. Possiamo sentire la caduta senza paura del vuoto. La parola abbacchiare è onesta, concreta. Non chiede di resistere a ogni costo. Dice solo: qualcosa è successo, e ora ho meno energia. Ma passerà.

Abbacchiarsi è umano

Ci sono giorni in cui tutto fila, e giorni in cui basta poco per sentire che qualcosa si stacca. Un tono, una notizia, un pensiero ricorrente. Non serve un grande trauma per essere colpiti. La parola abbacchiare nomina quella forma minima di cedimento che ci attraversa quando siamo vivi. Non è una patologia, non è una crisi. È un abbassamento, un raccolto imprevisto. E proprio perché è così comune, così umana, ha bisogno di un nome che la protegga dal silenzio. Usiamo mille eufemismi, giri larghi, sorrisi forzati. Ma a volte basterebbe dire: oggi mi sento abbacchiato. E in quella parola c’è già tutta la verità che serve.

Un verbo che non giudica

A differenza di molte parole moderne che cercano di classificare, di spiegare, di etichettare le emozioni, la parola abbacchiare non pretende di sapere tutto. Non chiede perché. Non cerca cause profonde. Nomina l’effetto. Qualcosa è caduto. Punto. Forse una speranza. Forse solo la voglia di fare. Forse niente di grande, ma abbastanza da lasciare una traccia. È un verbo che osserva e accoglie. Che non esige una risposta. E questo lo rende terapeutico. Perché a volte è proprio nel poter dire “mi sento abbacchiato” che si apre uno spazio di respiro. Di ascolto. Di temporanea sospensione dal dover fare.

La dignità del raccolto

Riabilitare la parola abbacchiare è anche riabilitare l’idea che non tutto ciò che cade è perduto. Che esistono cadute che fanno bene. Che liberano. Che tolgono il superfluo. Che preparano al riposo. Come nei campi, non tutto il tempo è per fiorire. C’è anche il tempo per raccogliere. E poi per lasciare. Abbacchiarsi non è perdere. È cambiare assetto. Lasciare andare qualcosa che forse non serviva più. O che non eravamo più in grado di tenere. È un verbo che porta con sé il suono del legno colpito, della fronda che si scuote, del frutto che tocca terra. E in quel suono, se ci si fa attenzione, c’è una forma sottile di liberazione.


📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #210
🔤 C’è una forza nella caduta, quando è il momento giusto a farla accadere. Anche l’anima, ogni tanto, ha bisogno di essere abbacchiata per tornare a respirare.



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