Non è per gli altri. Non è per la gloria. Scrivere per tornare in me è l’unico ponte che tengo sempre aperto tra ciò che sento e ciò che non voglio perdere.
📓 Ci sono giorni in cui mi perdo. E non lo dico a nessuno
Mi muovo, rispondo, agisco. Ma qualcosa resta indietro.
E allora scrivere per tornare in me diventa necessario.
È il gesto che mi ancora. La linea che collega il mio dentro con il fuori.
Non è per gli altri. Non è per pubblicare.
È per ricucirmi.
🧠 Scrivere è chirurgia mentale
Prendo le parole come strumenti.
Le uso per tagliare, per sondare, per liberare zone che la giornata ha anestetizzato.
Scrivere per tornare in me significa ascoltare quel suono interno che spesso si perde nel rumore esterno.
Ritrovarlo. Seguirlo.
E lasciare che diventi forma.
🔍 Non cerco chiarezza. Cerco contatto
Ogni volta che scrivo, qualcosa si raddrizza.
Anche se non so bene cosa.
Le righe diventano riflessi, ferite aperte, piccole epifanie.
Scrivere per tornare in me è il solo modo che conosco per restare verticale quando tutto spinge verso la dispersione.
🔧 Lo faccio quando sto male. Lo faccio quando sto bene. Ma soprattutto lo faccio quando non capisco come sto
Perché le parole, se non le butto fuori, si impastano nella testa.
Diventano nebbia, oppure pesi.
Scrivere per tornare in me è un atto di manutenzione profonda.
Non estetica. Esistenziale.
🏛️ Il mondo chiede efficienza. Io, quando scrivo, rallento
Mi tolgo dai flussi.
Mi affaccio al bordo.
E lì — senza aspettative, senza dover piacere — comincio a respirare davvero.
Scrivere per tornare in me è tornare al respiro. Alla pelle. Alla prima versione di me stesso, prima della performance.
📓 Scrivere non è fuga. È ritorno
Non torno a un luogo fisico.
Torno a una postura interiore.
A quella parte che sa stare, anche quando tutto intorno preme per andare.
Scrivere per tornare in me è l’unico modo che conosco per non cedere del tutto.
E, a volte, è abbastanza.
📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #84
✍️ Scrivo non per essere capito, ma per ricordarmi di esserci ancora.