Smettendo di provarci ho scoperto che certe battaglie non si vincono combattendo, ma lasciandole cadere. E che non tutto ciò che resiste merita resistenza.
📓 Le cose che non arrivavano mai
Cose che ho scoperto smettendo di provarci: la prima è che certe cose che inseguivo da anni non stavano aspettando me, né io stavo aspettando loro. Erano solo movimenti appresi, tentativi di essere abbastanza, di dimostrare qualcosa a qualcuno, forse a una versione passata di me stesso che non aveva mai ricevuto conferme.
Quando ho smesso di provarci — non per sconfitta, ma per saturazione — qualcosa si è allentato.
Il bisogno di spiegare.
Il bisogno di ottenere.
Il bisogno di essere all’altezza.
Non è stato un momento eroico. È stato un lento sgonfiarsi di tensione.
E lì ho capito: molte delle cose che desideravo non erano mie.
Erano state installate.
Erano risposte a ferite, non a desideri.
E solo smettendo di provarci ho iniziato a sentire ciò che volevo davvero.
🧠 L’io che insiste e l’io che osserva
Per anni ho creduto che l’identità si costruisse sulla costanza, sull’impegno, sull’insistenza.
Che valesse di più chi non si arrendeva mai.
Ma a un certo punto ho cominciato a osservare l’io che insisteva.
E non sembrava vitale.
Sembrava esausto.
Spinto più dalla paura di crollare che da un vero slancio.
Smettendo di provarci, è emerso un altro io.
Uno che non aveva bisogno di dimostrare.
Uno che non correva, che non accumulava, che non misurava tutto in risultati.
Un io che semplicemente c’era.
E in quella presenza nuova ho trovato una calma che non conoscevo.
Un senso che non doveva essere strappato al mondo, ma accolto.
🔍 La trappola dei tentativi infiniti
Molti sforzi erano diventati abitudine.
Mi svegliavo e ci provavo.
A migliorare qualcosa. A correggere. A salvare. A far funzionare.
Ma non mi chiedevo mai: vale la pena?
Smettendo di provarci ho scoperto che certe cose erano già rotte da tempo.
Ero io che non volevo vedere la frattura.
Allora insistevo.
Per paura di restare senza un progetto.
Senza una funzione.
Senza una identità da raccontare.
Ma quando mi sono fermato davvero, ho visto che la vita non era finita.
Era solo altrove.
Non nelle prove continue.
Ma nel silenzio che veniva dopo.
🔧 I segnali che avevo ignorato
Il corpo lo diceva da tempo.
La mente lo gridava nei sogni.
Ma io insistevo.
Fino a quando smettendo di provarci, ho cominciato a sentire:
– la fatica inutile
– l’ansia senza causa
– l’irritazione verso le cose che prima chiamavo “passione”
– il vuoto sotto la disciplina
Non ero più dentro.
Stavo solo eseguendo.
E smettere è stato come spegnere una macchina che stava andando fuori controllo con me ancora a bordo.
🏛️ Il sistema ti vuole attivo, non presente
Il sistema ti educa a provarci sempre.
A non arrenderti.
A “farcela”.
Ti convince che chi molla è debole. Che chi si ferma è perso.
Ma non ti dice mai che la vera perdita è diventare una funzione.
Un processo.
Un algoritmo in loop.
Smettendo di provarci, mi sono tolto da quel ciclo.
E ho visto che il mondo non crollava.
Che io non crollavo.
Che c’erano spazi che non avevo mai abitato perché ero troppo impegnato a correre.
Spazi dove l’essere era sufficiente.
Dove il silenzio era tollerabile.
Dove non c’era da ottenere, ma da esistere.
🔊 La voce che emerge solo nella resa
Non ho avuto risposte eclatanti.
Niente illuminazioni.
Solo presenza.
Smettendo di provarci, è emersa una voce che prima non sentivo.
Una voce quieta, che non gridava “ce la farai”, ma sussurrava “sei già abbastanza”.
E questo mi è bastato.
Mi è bastato smettere per capire che molte delle cose che mi muovevano erano catene camuffate da opportunità.
Che molte battaglie erano guerre che non avevano più un senso.
Che molti “sì” erano un modo per evitare il vuoto.
E allora ho scelto il vuoto.
E in quel vuoto ho trovato spazio.
Per me.
Non per la versione migliorata.
Non per la versione realizzata.
Solo per la versione vera.
📌 Uomo Fuori Traccia – Articolo #18
🧭 A volte non serve provarci. Serve ascoltare il momento in cui qualcosa dentro ti chiede di smettere. E rispettarlo.